sabato 22 marzo 2014

IL TAJINE DI FES



I fari del furgone fendono l'ultimo alito blu della notte prima del sorgere del sole. La strada da Tripoli a Zuwarah, un tempo agile arteria tra la capitale, che fu prima roccaforte della pirateria araba e successivamente capitale di improbabili imperi coloniali, ed uno dei porti libici più importanti, si dispiega oggi in un tracciato disordinato e singhiozzante, tra larghe curve e biforcazioni volte ad evitare i crateri lasciati sull'asfalto dai mortai governativi e dalle bombe dell'aviazione francese nella recente guerra civile. Lunghe deviazioni servirebbero per evitare i cento posti di blocco che puntellano questo tratto, tenuti indistintamente dalle forze di polizia o dalle milizie armate, accomunati, nella loro funzione usurpatrice, dal desiderio di saccheggio ed intimidazione. Il vecchio furgone su cui viaggia Adil li attraversa come una lama calda nel burro: i poliziotti, veri o falsi che siano, sanno chi guida, e sanno che avranno la loro parte. I sedili posteriori, perso ogni ricordo del tessuto sintetico che li ricopriva, sono ora materassini di spugna friabile e mangiucchiata, intrisi del sudore e del nervosimo di centinaia di migranti che l'hanno preceduto. Adil è stretto su di questi insieme ad altre quattro persone, cinque col bambino di pochi mesi che la grossa signora eritrea porta con se; durante le tre ore di viaggio, nel buio del deserto e della paura, non ha fatto altro che contare i dossi e le buche, pregare un qualsiasi dio in cui non crede perché non incontrassero mine, e controllare e ricontrollare i soldi, duecento euro in banconote da venti, cuciti nel risvolto della maglietta da calcio che indossa. I primi edifici scheletrici della città portuale, ed i rari cartelli che indicano il porto, lungo la martoriata litoranea, gli annunciano l'arrivo a quella che sapeva essere la destinazione ultima del suo soggiorno in Libia, nonostante avesse cercato di dissimularlo, all'arrivo all'aeroporto di Tripoli, quando un'orda di tassisti abusivi gli si era offerta per il trasporto fino a Zuwarah, indotti, dal suo aspetto e dal loro ostentato razzismo, che non vi fosse altra meta per un marocchino se non quel porto.