mercoledì 4 dicembre 2013

IL TIMO

Fresh Thyme
Tolosa, 1630. La città è in ginocchio. Dove non è arrivata la ferocia delle truppe di devoti cattolici del cardinale Armand-Jean du Plessi de Richelieu, accorsi per stroncare l’ennesima ribellione ugonotta della Linguadoca, è arrivata la peste che queste hanno generosamente importato da Parigi. 

Quattro uomini sono arrestati con l’accusa di aver trafugato, nelle case di malati e defunti, ricchezze e beni dei quali, probabilmente, né i moribondi né i trapassati, avrebbero avuto bisogno nel Regno dei Cieli. 

I tribunali, si può immaginare, non andavano proprio sul leggero per punire reati contro il patrimonio e atti di sciacallaggio, e solo quando la forca già pendeva sul patibolo, un giudice, forse saggio, ma sicuramente curioso, volle interpellare i quattro prigionieri su come potessero apparire così in buona salute e senza alcun sintomo di contagio dopo aver così assiduamente frequentato case infette e frugato fra gli oggetti dei moribondi. I quattro ladri negoziarono la preziosa informazione, ed ottennero la grazia se l’avessero rivelata: spiegarono che il loro stratagemma consisteva nel cospargersi i polsi e le tempie con un aceto aromatico, il cui ingrediente principale era proprio il timo, combinato con rosmarino, aglio, salvia e lavanda.

LA BOUILLABAISSE

Marseille Quartier du Panier

Et quand ça bouille tu baisse, al primo incresparsi della superficie della broda la mano corre alla manopola del gas, un quarto di giro verso sinistra, la fiamma al minimo, un quarto d’ora ancora, ora c’è tempo per pensare, per pensarlo, questo piatto. Ora è di nuovo tempo per il Mistral, prima se n’era regalato un goccio solo all’aglio ed al porro che sudavano nel rame, ora se lo merita il cuoco. Uno alla pentola, uno al cuoco, s’era giurato, ma ora c’è tempo, uno, due, tre al cuoco. Ora il tempo c’è, alla finestra, gomiti sul davanzale, ora il tempo c’è, ma non c’è più il mare, da qui prima si vedeva tutto, ma i palazzi sono cresciuti mentre ci facevamo distrarre dalla televisione. Nell’edificio di fronte un altro come me mi guarda, sa anche lui cos’ha perso. Un fischio accecante, attiro la sua attenzione, lo invito a pranzo, qui in casa siamo tre, e la bouillabaisse si prepara solo per i numeri pari.

 Marsiglia è distesa pancia sotto, con i piedi in Provenza ed il mento, poggiato sul dorso delle mani callose, volto verso il Mediterraneo. Il Vieux Port è racchiuso nella sua piccola baia, e quel che resta della casbah del Panier si sviluppa alla sua destra, vicoli stretti e maleodoranti che i nazisti poterono affrontare solo con i bulldozer, tanto era il disprezzo che le pareti salmastre trasudavano su di loro. Dalla mia finestra nel quartiere, intravedevo il porto vecchio, e bastava un cenno dalle barche per capire com’era andata la pesca. Alle spalle del porto si dirama, lunga e ordinata la Canabiére, dove vivono i signori, quelli senza calli sulle mani, e con la pelle liscia; sono l’esofago di Marsiglia, per nostra fortuna ghiotti solo di denaro e di delicati pesci bianchi, puliti, spinati. Lasciano sul fondo delle nostre reti la vera ricchezza del mare: lo scorfano, le triglie di scoglio, il grongo, le tracine… E’ con questo bottino che noi si torna a casa e si prepara la bouillabaisse, coscienti, ancora una volta, di aver beffato il padrone.