mercoledì 4 dicembre 2013

IL TIMO

Fresh Thyme
Tolosa, 1630. La città è in ginocchio. Dove non è arrivata la ferocia delle truppe di devoti cattolici del cardinale Armand-Jean du Plessi de Richelieu, accorsi per stroncare l’ennesima ribellione ugonotta della Linguadoca, è arrivata la peste che queste hanno generosamente importato da Parigi. 

Quattro uomini sono arrestati con l’accusa di aver trafugato, nelle case di malati e defunti, ricchezze e beni dei quali, probabilmente, né i moribondi né i trapassati, avrebbero avuto bisogno nel Regno dei Cieli. 

I tribunali, si può immaginare, non andavano proprio sul leggero per punire reati contro il patrimonio e atti di sciacallaggio, e solo quando la forca già pendeva sul patibolo, un giudice, forse saggio, ma sicuramente curioso, volle interpellare i quattro prigionieri su come potessero apparire così in buona salute e senza alcun sintomo di contagio dopo aver così assiduamente frequentato case infette e frugato fra gli oggetti dei moribondi. I quattro ladri negoziarono la preziosa informazione, ed ottennero la grazia se l’avessero rivelata: spiegarono che il loro stratagemma consisteva nel cospargersi i polsi e le tempie con un aceto aromatico, il cui ingrediente principale era proprio il timo, combinato con rosmarino, aglio, salvia e lavanda.

I quattro illuminati furfanti di Tolosa probabilmente già conoscevano i molti utilizzi di questa pianta aromatica nella medicina popolare, sapevano che i suoi oli essenziali sono ricchi di proprietà balsamiche capaci di liberare e proteggere le vie respiratorie, oppure forse erano così illuminati e spavaldi da aver adottato il timo come ingrediente essenziale della loro miscela, che verrà successivamente adottata nella medicina di tutta Europa col nome di “aceto dei quattro ladroni”, grazie a conoscenze classiche ben più anteriori. Già nella Grecia Antica questa pianta era utilizzata dai guerrieri, che si detergevano in acque aromatizzate al timo per infondere forza ed ardore nei loro corpi e nelle loro menti, come testimonia la sua etimologia: Thymus, dal greco “coraggio”. Sicuramente i ladri di Tolosa ne avevano bisogno!

Furono i Romani i primi ad adoperarlo sistematicamente anche in cucina, sfruttando le sue qualità antisettiche per favorire la conservazione dei cibi, oppure per profumare il vino e aromatizzare i formaggi, abitudine che si usa ancora adesso soprattutto con caprini provenzali ed alcune feta greche. I Romani, buongustai, scoprirono che anche le api andavano pazze per il timo, da cui producevano un ottimo miele. Nel Medioevo quest’erba torna nei cambi di battaglia, con le dame che erano solite ricamare sulle insegne dei cavalieri rametti di timo come simbolo di buon auspicio e, di nuovo, per infonder loro coraggio ed ardore. Altra pratica simbolica che vi è legata è quella, ricorrente per tutta l’età moderna, di porre dei rametti di timo sotto il cuscino dei bambini per allontanare gli incubi.

Il timo è fantastico, profumatissimo, mantiene il suo profumo anche se sconvolto da cotture lunghe e violente, è infatti perfetto negli arrosti, nei brasati e nella panatura dei fritti. E’ tra le erbe aromatiche forse la più tenace, insieme al rosmarino, la più “dura” in termini di aromaticità e persistenza; raramente le sue piccole ed apparentemente delicate foglioline soccombono di fronte ad altri sapori, la puoi cuocere per ore assieme a del manzo saporito affogato in una birra scura e densa, condito con aglio e mille altre spezie: il timo sopravviverà, e se non sarà dominatore indiscusso, quantomeno sarà sul podio dei vincitori nella gara dei profumi. Il timo è buono veramente. Con tutto. E non è un modo di dire. Eccelle, come abbiamo detto, sui formaggi, sugli arrosti e sui brasati di ogni tipo di carne; col pesce, specialmente nella varietà timo limoncino, è perfetto per aromatizzare un cartoccio, meno per abbinarlo a frutti di mare delicati o crostacei, con loro sarebbe troppo arrogante. In tutto il medioriente è diffusa l’abitudine di combinarlo con altre erbe ( origano, maggiorana, santoreggia e sesamo per il tradizionale zattar della Giordania) o con spezie (unito nella dukkah egiziana con pepe, cumino, coriandolo e nocciole) per creare miscele adatte ad insaporire piccole pizze o per farcire pane non lievitato.

Non c’è niente da fare, il timo, piccolo e cazzuto, non teme nessun confronto. Sta bene anche nei dolci, si sposa alla grande con gli agrumi, sfida a duello i cioccolati più puri e non teme impasti e creme già abbondantemente profumate. Ah, per la cronaca, i quattro ladri di Tolosa sembra siano stati impiccati ugualmente, ma si sa, né per i giudici né per i cuochi, la lealtà è un valore assoluto.

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